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Articolo inserito da Gilberto Giorgetti in data 03/08/2006
Storia
letto 24570 volte in 17 anni 9 mesi e 25 giorni (3,78)
Quando i ricordi si fanno storia - TERZA PARTE
Il Ponte di Vecchiazzano sul fiume Rabbi
Nel Libro Biscia, in un atto del 25 luglio del 1196, si ha memoria del ponte di Vecchiazzano. Giovanni di mastro Pedrino, Vol. I - pag. 404, annota che questa costruzione nei primi di giugno del 1433 venne travolta da una fiumana.
Nel 1445 per mano di Mastro Giacomo da Ferrara venne ridotto a perfettione: si trattava però d'una perfezione molto relativa, risultando che l'8 settembre 1481 gli anziani di Forlì commissionarono la costruzione del ponte di Vecchiazzano “in illo locho ubi melius videbitur” a Ludovico di Andrea di Lugo ed a Lorenzo qd. Antonii, detto Malabestia. Purtroppo, anche questo ponte precipitò per l'alluvione del 1842 e così, come descrive Timoleone Zampa, “fu posta una gran trave attraverso al fiume con un parapetto di legno per comodo dei viandanti, per non dovere passare il fiume a guado. I veicoli poi, o transitavano pel fiume a guado, oppure per gli altri ponti molto distanti” .
Napoleone (Guido) Casadei (1907-1998), ricordava che il padre Olindo diceva che la trave, collocata in attesa di ricostruire il ponte, era stata affidata per la manutenzione al colono detto ‘e Milanès che aveva il podere confinante col fiume. Per questa sua prestazione gli era conferita una sèssola di grano all’anno (‘na palârana ad grén) per ogni abitante di Vecchiazzano. Solo nel 1860 iniziarono i lavori del nuovo ponte sul Rabbi che venne inaugurato l’11 luglio del 1861. Il ponte con cinque archi e mattoni a faccia a vista, in origine, aveva il parapetto in legno e ancora oggi resiste alle alluvioni sebbene, prima dell’attuale restauro, sia stato per lungo tempo chiuso al traffico.

Giuseppe Garibaldi in fuga guada il fiume Rabbi a Vecchiazzano
Roma, 2 luglio 1849 - Venezia resiste ancora agli austriaci e Giuseppe Garibaldi a capo di circa quattromila uomini lascia Roma per portare aiuto alla città lagunare. Lo segue la moglie Anita che è incinta.
Lungo il percorso molti soldati disertano e in breve tempo l’esercito garibaldino è ridotto a sole duemila unità. A Sant’Angelo in Vado la retroguardia è sorpresa dagli austriaci e massacrata. Con sole duecentocinquanta uomini, tutto ciò che gli rimane, Garibaldi riesce a raggiungere lo stato indipendente di S. Marino. Dal Titano, nella notte del 31 luglio, raggiunge Cesenatico dove per mezzo di bragozzi tenta disperatamente di sbarcare a Venezia, ma i garibaldini sono scoperti dagli austriaci e così Ugo Bassi con Ciceruacchio (noto patriota romano) cadono poco dopo in loro mano.
Garibaldi, con la moglie e un esiguo gruppo di seguaci raggiungono Magnavacca (ora Porto Garibaldi) e attraverso la pineta retrocedono verso Ravenna. Anita sta male e quindi sono costretti a fermarsi in località Mandriole, nella cascina della famiglia Guiccioli, dove la donna morirà il 4 agosto 1849.
Edoardo Ceccarelli su “Forum Livii - anno V nn. 11-12 - nov-dic. 1930, pp. 387-394” descrive nei particolari il viaggio che Giuseppe Garibaldi fu costretto fare da Ravenna, dove Giovanni Montanari e Plazzi lo tennero nascosto assieme all’indivisibile Tenente Leggero (G. B. Culiolo), per giungere in casa di Andrea Barasa a Terra del Sole:
Da Ravenna Montanari e Plazzi vennero a Forlì dal locandiere Raffaele Capaccini e insieme presero accordi per accompagnare i due profughi nella vicina Terra del Sole soggetta allora al Granducato di Toscana.
Ecco come si svolse il piano di trafugamento.
Garibaldi, da Ravenna, salì sul biroccino guidato dal Plazzi, e il Tenente Leggero su quello di un tal Biancani. Luogo di ritrovo a Forlì: il cimitero. Segno di riconoscimento: l’accensione di fiammiferi.
La partenza da Ravenna della comitiva fu preceduta, di alcune ore, da Giuseppe Savini detto Jufina per dargli modo di togliere in tempo qualsiasi ostacolo specialmente nella frazione di Coccolia sede di una caserma di carabinieri pontifici. “Jufina”, per meglio riuscire allo scopo, si accompagnò con Ermenegildo Focaccia di Coccolia con l’aiuto del quale poté avvicinare i pochi carabinieri di servizio invitandoli a bere in un’osteria della borgata. Lo stratagemma riuscì in pieno perché i militi trangugiarono così abbondantemente da rimanere ubriachi. Giuseppe Savini, che aveva lasciato al Focaccia il compito di far da guardia, ritornò a piedi verso Ravenna tenendo la strada maestra. Dopo tre chilometri di cammino incontrò i profughi; e fatto loro noto come avesse tolto il pericolo di una fermata da parte dei carabinieri, scherzando sullo aneddoto dell’avvenuta ubriacatura, seguì la comitiva sedendo di dietro sul biroccino guidato da Plazzi che, come sappiamo, conduceva Garibaldi travestito da contadino coi capelli accorciati e con la barba rasata. Sennonché l’improvvisa rottura all’asse delle ruote del biroccino Biancani costrinse la brigata a fermarsi a lungo sulla strada. Riuscito poi inutile ogni tentativo per riparare il veicolo, fu necessario che il Tenente Leggero montasse sulla stessa vettura dov’era Garibaldi e insieme col fedelissimo Plazzi riprendere il viaggio.
Per non lasciare alcuna traccia, Biancani e Savini decisero di arrivare fino a Coccolia a piedi conducendo la cavalcatura a mano che trascinava il biroccino squassato.
Arrivati, pernottarono in casa dell’amico Focaccia.
Il guasto al biroccino aveva fatto perdere molto tempo e causato il mancato appuntamento a Forlì. Era già passata la mezzanotte, quando il Plazzi giunse di fronte al cimitero e, attenendosi alle istruzioni, accese e riaccese molti fiammiferi ma nessuno si fece avanti. Portato il biroccino in luogo sicuro, perlustrò ogni angolo del camposanto, ripeté il segnale ma non ebbe alcuna risposta. Osservò che gli uomini mandati dal Capaccini si fossero addormentati, perché non trovò nessuno. Guardò l’orologio e attese ancora, poi risalito sul biroccino con Garibaldi e Leggero mosse verso la città. Vicino alla chiesa dei Cappuccini (S. Maria del Fiore) nell’attuale via Ravegnana, fece scendere i profughi e li nascose in un campo di granoturco dietro ad una folta siepe. Intanto, il Plazzi portò il biroccino nello stallatico Fabbri, detto Rachêt, in subborgo S. Pietro e venne in piazza a piedi poiché trovò la porta della barriera aperta. Infatti, nella notte del 14 agosto era scoppiato un incendio all’Albergo Reale della Posta (casa Samaia nell’attuale corso della Repubblica) e i gabellieri, per facilitare i soccorsi nell’opera di spegnimento, allora non c’erano i pompieri, avevano lasciato aperte le porte daziarie della città.
Raffaele Capaccini se ne stava a guardare l’incendio sulla soglia della propria trattoria chiusa, sotto i loggiati nell’attuale piazza Saffi, quando gli si parò dinanzi il Plazzi. Saputo il motivo del mancato appuntamento e considerato che sarebbe mancato poco all’alba, il Capaccini informò Pio Cicognani e insieme decisero di condurre Garibaldi e Leggero in casa di Luigi Zattini Gori, fuori porta Cotogni. Cicognani, che parlò al signor Zattini sapendo della notificazione del Governatore Civile e Militare di Forlì, firmata dal generale Gorzkowski in data 5 agosto 1849, dove si vietava l’aiuto a Garibaldi, pena la morte, non fece il suo nome, anzi disse che si trattava di disertori. Zattini accettò e così, il 15 agosto 1849, alle ore 4,00 circa del mattino, Giuseppe Garibaldi e Leggero accompagnati dal Plazzi entrarono in casa Zattini Gori.
Appena il Generale ebbe varcato la soglia, sebbene fosse senza la barba fu subito riconosciuto da Luigi Zattini e perfino dalla vecchia Caterina, la donna di servizio, che premurosa gli portò una tazza di caffè.
La donna l’aveva visto l’anno prima quando, dal balcone del palazzo Paulucci parlò ai forlivesi entusiasmandoli con la sua oratoria.
Mentre Garibaldi era in casa Zattini Gori giunsero degli artiglieri austriaci, che fecero abbeverare i cavalli al pozzo vicino al portone d’ingresso; poi coi loro cannoni e i cavalli ripartirono. Quella sera di ferragosto Giovanni Maltoni, detto Gnaràta, era rientrato in casa dopo il consueto lavoro di contrabbando consistente nel trasportare a piedi, attraverso sentieri intricati e nascosti, merci dallo Stato Toscano a quello Pontificio.
Coloro che esercitavano il contrabbando venivano chiamati “spalloni” dal fatto che portavano i carichi a spalla. Il migliore dei forlivesi era appunto Gnaràta: robusto, atletico e velocissimo, saltava fossi e superava ostacoli con facilità, senza mai abbandonare la merce che contrabbandava; conosceva i viottoli meno praticati, i guadi dei fiumi Rabbi e Montone, i passaggi sui canali di Ravaldino e Schiavonia ed aveva gran capacità nell’eludere e trarre in inganno le Guardie Ambulanti e i Doganieri dei due Stati di confine. Possedeva un finissimo senso uditivo e gli bastava appoggiare l’orecchio al suolo per conoscere i rumori e la loro distanza e provenienza. Compagni di rischio e di fatica dello Gnaràta erano Antonio Guardigli, detto Piritén e Giovanni Lolli, detto Stânga. Ogni tanto capitavano agli “spalloni” delle buone occasioni di guadagno date dal trafugamento di banditi o di profughi politici detti “farlòt”, cioè averlotti.
Lavoro oneroso, questo, ma pericolosissimo perché cadendo in mano della giustizia poteva venire punito con multe o col carcere.
Erano circa le ore 21,00 del 15 agosto 1849 quando Gnaràta, da poco coricatosi, sentì colpire con un sasso lo scuro della finestra che, dalla sua camera da letto, s’affacciava sull’attuale viale dell’Appennino, vicino al piazzale di Ravaldino. Scese dal letto e vestitosi alla meglio, discese frettolosamente la piccola scala fino ad una specie di porticato che serviva da ingresso per la casa. Giovanni Maltoni si trovò di fronte a Raffaele Capaccini e Pio Cicognani, due liberali forlivesi che, col grado di sergente il primo e tenente l’altro, avevano combattuto nel 1848 a Varese. Da essi fu avvisato che fra tre quarti d’ora al massimo nelle vicinanze della polveriera della Rocca di Ravaldino gli sarebbero stati consegnati “du farlòt ad parchè”, ovvero delle importanti personalità, per cui l’operazione necessitava della massima prudenza. I fuggitivi dovevano raggiungere Terra del Sole, precisamente “in te Palàs”, qui li attendeva il patriota Luigi Bassetti. Segno di riconoscimento erano i soliti fiammiferi.
Gnaràta prese il comando della spedizione e ordinò a Stânga di recarsi subito dall’amico Montanari, detto Calissén - colono della Curia che abitava sulla destra del gorgo omonimo del Rabbi - e di avvertirlo di ritirare, dalla riva del fiume, i suoi cani pastori messi a guardia delle pecore.
Alle ore 21,30 circa Garibaldi e Leggero lasciarono casa Zattini Gori e accompagnati dal merciaio Tomaso Maltoni, detto Masotti, e Giuseppe Baccarini, cocchiere della famiglia Sassi, s’incamminarono verso il piazzale Nord (attuale piazzale della Vittoria), dove con gran rischio passarono vicino agli austriaci che erano li accampati. Per la via che costeggiava il gioco del pallone (attuale via Porta Cotogni), giunsero ben presto davanti alla polveriera della Rocca di Ravaldino (ad angolo con le attuali vie F. Corridoni e della Rocca) dove stavano ad attenderli Gnaràta e Piritén.
Avvenuta la consegna, Masotti e Baccarini tornarono indietro e i due fuggiaschi, guidati da Gnaràta e seguiti, a breve distanza, da Piritén, si misero in cammino dirigendosi verso Ca’ Ossi.
Giunti al Primo Mulino girarono a destra, passando il piccolo ponte sul canale, proseguirono poi per la stradina che costeggia il canale stesso (attuale via Bertarina) per giungere nei pressi di casa Calissén, dove Stânga, nel folto d’una macchia di robinie, dette il segnale di via libera con l’accensione di alcuni fiammiferi. Così scesero lungo un’impervia e ripida scarpata fino alla riva del Rabbi. Stânga per primo attraversò il fiume. Il guado avvenne a pochi metri dal gorgo di Calissén, quasi alla confluenza del Rabbi col Montone.
La brigata attraversò il Rabbi, piegando leggermente a sinistra, nel fitto albereto che a quei tempi copriva l’arenile fra le “due bocche dei fiumi”. I fuggiaschi, in fila indiana, preceduti da Stânga e seguiti da Piritén, passarono vicini alla casa Sibaröl (guardiano di selva) per poi imboccare il viottolo Rabàcc.
Da questa stradina, risalendo il fiume Montone, scesero nel sentiero conosciuto come “’e bus ad Ladén” o “siba ad Ladén”, nascosto da intricatissime querce e sterpaglie. Poco prima di arrivare al podere Braga, Gnaràta effettuò per primo il guado del Montone e portò con sé la brigata sulla sponda sinistra del fiume, per poi seguire il sentiero detto dei “Fiumi morti”.
Varcato da poco il confine dello Stato Pontificio, il fido Stânga emise un lieve fischio. Era questo un segnale d’arresto. Gnaràta si china, accosta l’orecchio a terra, si alza e poi sottovoce dice: “Nessun pericolo. È una pattuglia di cavalleggeri austriaci che da villa Paulucci, dopo il fiume, percorrendo la strada di Ladino, s’avvia verso Vecchiazzano per il solito servizio di perlustrazione”.
È ormai mezzanotte. Le poche Guardie Ambulanti accasermate alla Faragâna dormono tranquillamente. Il fittone di pietra arenaria, piantato nel campo di fronte al ponte che segna il confine fra lo Stato Pontificio e quello Toscano, è stato dai fuggiaschi oltrepassato da circa 200 metri. Con un taglio netto, in linea retta sulla sinistra del Montone, la comitiva s’avvia verso il palazzo. Ad un quarto dopo la mezzanotte del 16 agosto 1849, Garibaldi e Leggero si abbracciano a Terra del Sole con Luigi Bassetti .
Da Terra del Sole Giuseppe Garibaldi raggiunse Modigliana e poi, aiutato dal patriota don Giovanni Verità, valicò l’Appennino, raggiungendo il litorale toscano, dove a Follonica s’imbarcò il 2 settembre 1849 per Porto Venere; fu però catturato dai piemontesi ed esiliato.

Nella foto - Lavandaie nel Rabbi sotto al Ponte di Vecchiazzano
(p. Ivan Rivalta)


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Commenti
 
Commento inserito da Alessandra Maltoni in data 16/09/2014 16:09:32
www.vecchiazzano.it/p.asp?p=57&i=1396

Per il sig. Giorgetti: Salve, mi chiamo Alessandra Maltoni..navigando in rete ho letto questo bel resoconto inserito dal sig. Gilberto Giorgetti nel 2006. Qualora leggesse questo mio commento..mi farebbe piacere avere qualche fonte e qualche riferimento in più. Io infatti sono nata ad Ancona e così Mio Padre e Mio nonno. Ma mio Nonno - Gulio Maltoni - tutti lo hanno sempre chiamato "il Romagnolo". Suo Padre infatti Tommaso era venuto ancora in fasce ad Ancona al seguito della sua Famiglia, trasferitasi per Lavoro. Suo Padre infatti, Tommaso Maltoni, nel 1861 (con l'Unità d'Italia, lasciò la natia Terra del Sole per lavorare alla costruzione della nuova Linea Ferroviaria. Da appunti di Famiglia (molto datati) ho letto che la Famiglia era di idee Socialiste e aveva contribuito a Salvare Garibaldi in fuga. Ho Trovato commovente questo resoconto dove si parla proprio dei Maltoni (Tommaso detto MAsotti, leggo e Giovanni): sono pezzi di Storia e di Vita Familiare molto lontani ma a NOI sempre vicini!! Ringrazio chi mi possa dare qualche contatto informativo per sapere qualche cosa in più. Di Romagnolo ho sempre avuto il Cognome e mi sento comunque legata a questa Terra che ammiro molto!!




Commento inserito da Alessandra Maltoni in data 16/09/2014 16:11:30
www.vecchiazzano.it/p.asp?p=57&i=1397

per il sig. Giorgetti. I miei riferimenti sono alessandra.maltoni@unibo.it (lavoro all'Università di Bologna) e cell. 3771322160. Grazie Ciao




Commento inserito da Roberto Brunelli in data 28/09/2014 23:38:25
www.vecchiazzano.it/p.asp?p=57&i=1401

Gentilissima Sig.ra Alessandra Maltoni,

Molto probabilmente un Famigliare o un Amico dell'indimenticabile Gilberto Giorgetti le avrà nel frattempo già comunicato la triste notizia che Gilberto ci ha lasciati http://www.vecchiazzano.it/pagine/pagina_articolo.asp?pagina=1398 il 20 luglio del 2012.

Non dimenticheremo mai quanto ha fatto per tutti noi e per quanto ha dato non solo alla nostra città ma anche al sito di Vecchiazzano:

http://www.vecchiazzano.it/pagine/pagina_autore.asp?autore=Gilberto%20Giorgetti&tipo=pagina




Commento inserito da Alessandra Maltoni in data 30/09/2014 12:57:08
www.vecchiazzano.it/p.asp?p=57&i=1402

No, non ho avuto questa notizia e mi spiace molto.. Ho scoperto questo bell'articolo sulla Romagna Garibaldina per caso quando, avendo ritrovato un vecchi quaderno di appunti di un mio zio (un quadernino del 1956) scoprii che la Famiglia di origine Parterna - Maltoni - aveva contribuito a mettere in salvo Garibaldi!! (ho sempre saputo che i miei venivano da Terra del Sole - e che mio Nonno - che ad Ancona si distinse per Idee Progressiste e Internazionaliste - ne andava Orgogliosissimo - Suo Padre - figlio di quel Tommaso detto Masotti di cui parla l'articolo - aveva lasciato la Romagna ancora in fasce - nel 1861 .. per ragioni di lavoro del Padre ferroviere.. allora si costruiva la linea adriatica.. e era appena inziata l'Unità del Paese. Trovai conferma in questo articolo del signor Giorgetti e ho trovato molto Emozionante leggere, tappa per tappa, l'Eroismo di Tanti Romagnoli che credevano nella Libertà e in un Futuro Migliore.. Mi ha commosso molto sapere che il mio Trisnonno era tra LORO.. - è Importante, per chi come Me della Romagna ha radici lontane, ma Vicine nel Cuore. Un affettuso abbraccio a tutta Vecchiazzano e in particolare alla Famiglia del sig. Giorgetti, Sensibile Cultore di Memorie e Tradizioni Storiche ch econ la sua Penna ha saputo Far Rivivere momenti così lontani ma così Significativi per Tutti NOI......




Commento inserito da Alessandra Maltoni in data 30/09/2014 13:12:31
www.vecchiazzano.it/p.asp?p=57&i=1403

Ho stampato la recensione del Giornale che ricorda la Bellissima figura dello storico Giorgetti.

Grazie a Lui, dopo aver ritrovato il quadernino autentico del 1956 (che parlava delle origini della Mia Famiglia e del ruolo svolto nell'estate del 1849) ho potuto aver conferma con nomi e aneddotti ben precisi. Straordinario il Suo Lavoro come sempre sono Straordinarie le Personalità che vivono con Autentica Passione il Legame con le Origini con il Passato con il senso più profondo della Storia e della Memoria ...

Se ci sono iniziative in sua Memoria fatemi sapere. Vivo a Bologna e Forlì è fare un salto a Forlì è un passo...

Grazie ..




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